La nostra storia per immagini sarà nel caos virtuale
Questo è un periodo particolare per la fotografia (soprattutto in Italia): da un lato i professionisti stretti in una morsa (alle volte senza fiato) che si trovano a lottare (come tutti i professionisti e cittadini italiani) con le problematiche legate all’economia nazionale e mondiale, dall’altro i fotoamatori che crescono in maniera esponenziale e quasi in modo inversamente proporzionale alla situazione economica (paradossalmente).
Ma il problema non sono ne i professionisti che lottano a denti stretti per rimanere a galla e sul mercato ne i fotoamatori che giustamente danno adito ai propri sogni e hobby come può essere la pesca, lo sport, ecc.
Il problema è che in questa società “futuristica”, una società della cultura personale, una società in cui quando non sappiamo qualcosa di qualsiasi genere (dalla cucina alla medicina) siamo tutti i primi a cercare nel nostre informazioni su internet, ci stiamo dimenticando che la vera cultura personale si fa anche sui libri, e sui libri non intendo studiando, andando a scuola o sfogliando le pagine di un giornale, ma bensì approfondendo gli argomenti fino a sviscerarne i più infimi segreti. Faccio un esempio, se vogliamo capire di una malattia non ci basta certo andare a leggere cause ed effetti per diagnosticarne una, dobbiamo conoscere tutta una serie di altre informazioni, dobbiamo avere un quadro clinico completo della situazione fisica, psichica, sociale del “malato”, non possiamo trarre le somme senza basi per farlo, mentre noi (mi metto anch’io in mezzo per parcondicio) siamo sempre più “abituati” a far da soli, a cercare noi le risposte che alle volte non sono neanche poi così banali; questo avviene in tutte le materie, anche nella fotografia ovviamente. In fotografia (tornando all’argomento principale) non mi riferisco alla conoscenza delle tecniche base per fare una foto (che assumo per note ormai con il proliferare di corsi, workshop e quant’altro) ma dell’interesse intrinseco che ogni fotoamatore (e non voglio generalizzare) si approccia alla fotografia. Il fotoamatore tempo fa era colui che amava la fotografia e non la macchina fotografia, non amava (come oggi) l’atto dello scattare e collezionare immagini, ma la forma fotografica come essenza in se, e così, grazie a questo modo di pensare la fotografia che poi nacquero Ghirri, Fontana, Gardin e tanti altri come loro che solo in seguito decisero di lasciare le loro attività e dedicarsi all’arte fotografica come mestiere. Oggi molti ragazzi pubblicano le foto sui social solo per sentirsi dire “bravi, bellissima foto, ecc ecc” arrabbiandosi quando ricevono critiche puntando sul fatto che “se l’orizzonte è storto non fa nulla tanto anche Bresson faceva foto storte” !? Non mi meraviglio che la pensino così, d’altronde chi non sa leggere un immagine non potrà mai nemmeno leggere le proprie di immagini e quindi capirne il senso di ciò che ha fatto (come una persona che non sa leggere la propria scrittura).
Tutto questo non mi da fastidio, ma mi intristisce molto perchè a mio avviso la fotografia deve essere di tutti perchè sarà la nostra storia nel futuro degli altri. Producendo una infinità di immagini, un domani, nessuno si preoccuperà o prenderà la briga di ordinarle, selezionarle e mostrarle, rimarranno quindi accatastate di uno spazio virtuale senza possibilità di consultazione alcuna, senza un senso, ne un inizio ne una fine. Se ognuno di noi riuscisse ad insegnare agli altri la capacità di selezionare una propria immagine tra tante (ancor prima di scattarla magari) ci si eviterebbe un futuro caotico e senza storia figurativa, senza documentazione, questo a causa di un modus-operandi sbagliato alla radice. I fotografi dovrebbero insegnare a pensare/fare/leggere la fotografia, perchè solo così sarà possibile rientrare nei propri ruoli professionali, e salvare la nostra storia personale.
PS: non tutti i fotoamatori sono come gli ho descritti, infatti quelli che approfondiscono, si interessano, e amano riescono ad emergere e diventare grandi. Inoltre vorrei sottolineare che a mio avviso ci sono anche molti professionisti peggio dei fotoamatori (che, peggio, pensano anche di sapere)